Alla scoperta dell'Ucraina: dalla generazione d'oro di Lobanovski all'esplosione di Shakhtar e Dnipro

Pubblicato 
giovedì, 17/09/2015
Di
Redazione
Tempo di lettura: 3 minuti

IL PAESE - L’Ucraina è da sempre uno spartiacque tra l’Ovest e l’Est, tra l’Europa e la Russia, punto caldo e zona di confine tra posizioni, interessi e ideali da sempre agli antipodi. “Limite”, “bordo”, come del resto l’etimologia del suo nome spiega molto bene. L’Ucraina, all'estremo dell'Europa dell'Est, diventa indipendente dall'Urss con il referendum del 1 dicembre 1991, ma la matrice russa rimane radicata nel Paese, nella lingua, negli usi e nei costumi. Cambiano i governi, cambiano le posizioni, ma in alcune città dell’est e del sud i russi sono la maggioranza e ancora oggi, per questo motivo, in Crimea e al confine si combatte. L'Ucraina, con 603 700 km² e 45,5 milioni di abitanti, sbocca a sud sul Mar Nero e confina con la Russia ad est, la Bielorussia a nord e con Slovacchia, Polonia, Ungheria, Romania e Moldavia ad ovest.

STORIA EUROPEA DELL'UCRAINA - Nella storia del calcio ucraino la figura più rilevante è senza dubbio Valeri Lobanovski, nato a Kiev nel '39 e colonnello dell'esercito sovietico. Attaccante di razza, estroso e ribelle smette di giocare nel pieno della carriera per seguire il suo carisma da leader, diventando l'allenatore più giovane della storia sovietica con il Dnipro, a 30 anni. Nel 1973 si trasferisce alla Dinamo Kiev e propone un calcio che sorprende il mondo: scientifico, statistico, fisico, nulla di lasciato al caso, con campioni come Veremeev, Kolotov, Blokhin e Onnischenko alla guida di un gruppo che rappresenterà la generazione d'oro del calcio totale nell'Europa dell'est. La Dinamo vince campionato e Coppa dell'Urss nel 1974 e trionfa anche in campo europeo con la Coppa delle Coppe 1974-75 (contro il Ferencvaros) e la Supercoppa Europea (contro il Bayern). Lobanovski diventa allenatore della nazionale e i giocatori ucraini della Dinamo diventano gli 11 dell'Urss. Undici anni dopo, nell’86, la stessa squadra e lo stesso allenatore bissano l’impresa in Coppa delle Coppe, battendo l’Atletico Madrid di Aragones e l’eredità pesante del colonnello sul calcio ucraino si spinge addirittura fino ad Anrij Shevchenko, l'ultimo dei suoi figliocci, pallone d'oro nel 2004. Per un nuovo trionfo europeo bisogna attendere però lo Shakhtar Donetsk di Lucescu, che costruisce una squadra dal Dna brasiliano e vince l'ultima edizione della Coppa Uefa nel 2008-09.

IL DNIPRO - L'ultimo squillo è rappresentato dal Dnipro, finalista della scorsa edizione di Europa League, persa di misura contro il Siviglia dopo aver eliminato Olympiakos, Ajax, Bruges e Napoli. Dnipropetrovs'k, città natale degli azzurri è la terza più popolosa del Paese e si trova a 440 km da Kiev. E' collegata alla Capitale dal fiume che attraversa l'Ucraina, il Dnepr (lungo 2290 km, il quarto in Europa dopo il Volga, il Danubio e l'Ural) corso d'acqua che nasce in Russia e prima di sfociare ne mar Nero attraversa anche la Bielorussia. La squadra della città viene fondata nel 1918 e nella sua quasi centenaria storia vince 2 titoli sovietici, 1 coppa e 1 supercoppa dell'Urss. L'ultimo titolo è proprio il successo in campionato del 1988, ma dall'indipendenza ucraina la bacheca non si è più riempita. Il tecnico Markevich è un idolo per i tifosi e solitamente schiera i suoi con il 4-2-3-1: Bokyo in porta, Fedeckji, Douglas, Gueye e Leonardo in difesa. Rotan e Fedorchuk sulla mediana e il trio Matheus, Danilo e Luchkevych a supporto di Seleznyov. Terza in campionato a 14 punti in 7 giornate, la squadra è forte e competitiva, ma nell'ultimo mercato ha perso i gioielli più preziosi: Kankava va allo Stade Reims, Kalinic alla Fiorentina e Konoplyanka al Siviglia. Indebolita sulla carta, ma non intimorita. Markevich promette già assi nella manica e potrà contare sulla Dnipro Arena, stadio caldissimo (per il tifo, s'intende) da 31 mila posti e punto di forza del team. Con la Lazio si giocherà a porte chiuse per una squalifica, un'occasione da non lasciarsi sfuggire.

Giorgio Marota
TWITTER: @GiorgioMarota

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