FOCUS – Roberto Mancini, il vero fuoriclasse azzurro

Pubblicato 
giovedì, 10/06/2021
Di
Arianna Botticelli
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Tempo di lettura: 3 minuti

FOCUS MANCINI – Sampdoria e Lazio su tutte, ora la Nazionale. L’attuale commissario tecnico, Roberto Mancini, ha dimostrato, nell’arco della sua duplice carriera da giocatore prima e allenatore poi, la capacità di infondere mentalità e attitudine vincenti in squadre che, per tradizione o momento, ne erano carenti.

Forma mentis vincente

Pochi professionisti nel mondo sportivo italiano sono stati firmatari di straordinari successi al pari di Roberto Mancini. Sia da giocatore, quando riusciva a tramutarla in deliziosi e decisivi gesti tecnici utili alla vittoria, che da allenatore, perseguendo l’idea di un calcio al contempo bello e vincente, la forma mentis ha portato il marchigiano ad eccellere. Un’innata dote che l’attuale Ct dimostrò di possedere già da adolescente. Spesso, infatti, tra le file felsinee non esitava a contrastare il compianto Tarcisio Burgnich, mettendo in mostra una testa già stracolma di talento e gli spigoli che caratterizzeranno la componente ‘sregolatezza’ della sua carriera.

Sampdoria, il primo scudetto

Ancora nell’alveo di una maggior età appena raggiunta, Mancini decise di sposare la squadra a cui diede, e al contempo ricevette, di più: la Sampdoria. In una storia d’amore pallonaro fatta di attaccamento e passione da entrambe le parti, il talento di Jesi diventò il recordman di presenze del club. Ma, soprattutto, portò la ‘Superba’ blucerchiata a godere di Scudetto e Coppa delle Coppe. Un risultato storico, riassumibile in un episodio che vide protagonista lo jesino proprio nell’anno tricolore. In una classica domenica di calcio italiano, dalla bocca del dieci blucerchiato uscì una prosa diretta ad accompagnare la poesia che era appena trasudata dai suoi piedi. Il fantasista, dopo aver segnato uno delle reti più belle della sua incredibile carriera, corse verso Boskov urlando “Mister, siamo campioni!”. Il tutto il 18 novembre 1990: sei mesi in anticipo rispetto all'effettiva vittoria dello scudetto. Mentre Mancini, dotato di estro e fantasia fuori dal comune, anticipava in campo le mosse dell’avversario, Roberto aveva già visto. Già sapeva che a fine stagione avrebbe macchiato di tricolore il blucerchiato.

Lazio, è ancora tricolore

Quella Sampdoria non fu, però, l’unicum che ogni tanto la storia si diverte a creare. Nel 1997, infatti, Mancini lasciò la sua amata per approdare alla Lazio. Il motivo della scelta apparve chiaro: provare a portare la mentalità vincente in un’altra società che, per svariate ragioni, non la possedeva, pur avendo tutte le carte in regola. Il risultato fu ancora una volta esaltante. Sotto i ricami del dieci, il tanto agognato salto di qualità biancoceleste non tardò ad arrivare. Il 14 maggio 2000, il ‘Mancio’ consacrò alla storia lo scudetto della pioggia e del vento. Il secondo, sia per lui che per la società capitolina. Così l’inizio della festa biancoazzurra coincise con la fine della carriera di uno dei giocatori più forti del calcio italiano. Un artista del prato verde che fu contemporaneamente aedo e costruttore dell'arte della vittoria.

Il fuoriclasse azzurro

Dopo essersi seduto sulle panchine di Lazio, Fiorentina, Inter, Manchester City, Galatasaray e Zenit San Pietroburgo, alzando sempre almeno un trofeo, Roberto Mancini si è lanciato nell’avventura azzurra. La gestione Ventura, infatti, rese necessarie programmazione, ricostruzione e, soprattutto, quella mentalità avvezza alla vittoria che l'Italia perse a Milano sotto i fendenti di una dozzina di vichinghi scandinavi. Ma l'allenatore marchigiano non si è limitato a portare tali qualità. Tramite una risalita costante, vincente e a tratti esaltante ha restituito ai tifosi una Nazionale da tifare, da sostenere. L'approdo alle finals di Nations League, abbinato al percorso netto (10 vittorie su 10) nelle qualificazioni a Euro2020, hanno rappresentato un antipasto che ben fa sperare in vista della portata principale. Si dice spesso che agli Azzurri manchi il fantasista, il grande numero dieci del passato, ma più semplicemente il fuoriclasse è seduto in panchina. Sotto la giacca porta ancora il dieci sulle spalle e trasmette il calcio di cui fu cantore da calciatore: geniale, fantasioso, imprevedibile, vincente.

Pubblicato il 10 giugno 2021

Daniele Izzo

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