Sarri e l’orizzonte d’attesa: la costruzione di una mentalità mancante

Pubblicato 
venerdì, 08/10/2021
Di
Arianna Botticelli
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Tempo di lettura: 3 minuti

FOCUS – Una partita di calcio è un dramma completo. Un susseguirsi continuo di gesti, rinunce, esaltazioni, movimenti utili o errati, prodezze, sorprese, gioie e malumori, caratterizzano una rappresentazione che sempre si compone di tre facce: quella tecnica; quella agonistica; e, soprattutto, quella mentale. Ed è proprio negli inconsci meandri di quest’ultimo punto che Maurizio Sarri dovrà trovare il motivo del deficit, palesatosi per l’ennesima volta a Bologna, e guidare la Lazio verso la luce di una nuova mentalità vincente.

Obiettivo mentalità: il lavoro di Sarri

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LaPresse

“Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani” disse, agli albori del tricolore, Massimo D’Azeglio. “Fatta la Lazio di Sarri – potremmo sostenere oggi – non resta che fare il Sarrismo”. Se da una parte sprazzi del gioco auspicato si sono già visti sul prato dell’Olimpico, dall’altra è la mentalità che ancora vien meno. Così, per evitare altre ‘sconfitte di Lissa’, come quella di Bologna, il ‘Comandante’ Sarri dovrà continuare a lavorare sulla mente delle truppe, stimolarne la fantasia applicata al momento, evitare che nuovi cali di tensione compromettano la neonata e volitiva campagna biancoceleste.

Un annoso problema: i cali di tensione

Certo, non sarà semplice. Analizzando il percorso della Lazio negli ultimi anni, è possibile notare come, da Reja a Simone Inzaghi, tutti i predecessori di Sarri abbiano provato a risolvere l’annoso problema della mentalità, dei cali tensione. Senza, però, trovar successo. Tanto che, come riportato dallo stesso ‘Mau’ dopo la debacle di domenica scorsa, chi veste la livrea biancoceleste da qualche anno, prendendo la parola nello spogliatoio, ha usato le seguenti parole: “Facciamo sempre così, abbiamo un periodo positivo e poi cadiamo in questo tipo di partite”. Sacrosanta verità. Come non ricordare, infatti, Siena – Lazio del 7 gennaio 2012. Quando la lanciatissima compagine capitolina, reduce da sette risultati utili consecutivi, fu sommersa al ‘Franchi’ da quattro reti senza accennar reazione. Oppure il 13 marzo 2012, quando avversari e risultati replicarono esattamente l’attuale situazione, con la squadra di Reja che prima vinse il derby e poi perse incredibilmente in casa con il Bologna, maturando anche le espulsioni di Matuzalem e Alvaro Gonzalez. E ancora, Lazio – Chievo Verona del 26 gennaio 2013. Cambiò l’allenatore, Petkovic nel ruolo di Reja, ma non la sostanza: una volta inanellati sedici risultati utili consecutivi (compresa la semifinale d’andata di Coppa Italia pareggiata 1-1 a Torino con la Juventus), i biancocelesti caddero in maniera clamorosa, e del tutto inaspettata, al cospetto dei clivensi.

Salisburgo – Lazio: una ferita aperta

Molto probabilmente però, viste le vittorie susseguite già nel 2013 e poi negli anni seguenti, le sopracitate furono ferite certo, ma di entità minore. Sopportabili, quantomeno. Ciò che tutt’oggi, invece, sembra minare ancora la mentalità biancoceleste è una battaglia che, proprio come quella di Lissa alle origini dello stato italiano, è stata persa contro gli austriaci. La Lazio, dopo esser passata in vantaggio al 10’ della ripresa con una magia di Immobile e forte del 4-2 dell’andata, crollò, si fece rimontare sia in ottica punteggio che passaggio del turno e cedette il passo al Salisburgo. “Una notte da Euro-choc - commentò La Gazzetta dello Sportdifficile da spiegare, ancor più da digerire”. Parole che profumano di sentenza, che ancora oggi, a distanza di anni, calzerebbero a pennello alla sciagurata uscita bolognese dei biancocelesti. Qui risiede il nocciolo della questione.

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La cura Sarri

Il paziente è malato, ma non inguaribile. Maurizio Sarri ha sposato il progetto capitolino anche per questo: sì il gioco, bensì la mentalità. La Lazio, sotto l’egida di Simone Inzaghi, ha dimostrato, e per larghi tratti lo è stata, di essere una grande calcio italiano. Ora, al tecnico di Figline Valdarno il compito più arduo: curar la mente dai vuoti; evitare che nuove Bologna si palesino nel futuro di una squadra che ha già lasciato intravedere aspetti positivi. In altre parole, conciliarsi con l’orizzonte d’attesa.

Daniele Izzo

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