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ESCLUSIVA LN. Giallombardo: “La Lazio una scelta che rifarei, a Parma per vincere. E quell’anno a Grosseto con Ciro…”

INTERVISTA ESCLUSIVA GIALLOMBARDO – Sono pochi i calciatori ad aver indossato le maglie di entrambe le squadre della capitale, ancor meno quelli romani…

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INTERVISTA ESCLUSIVA GIALLOMBARDO – Sono pochi i calciatori ad aver indossato le maglie di entrambe le squadre della capitale, ancor meno quelli romani. Tra loro figura Andrea Giallombardo, ex terzino sinistro classe 1980. Cresciuto nelle giovanili della Roma, i biancocelesti lo prelevarono dal Livorno nella stagione 2005-06, l’anno dopo il suo debutto in Serie A. Nella Lazio ha trovato poco spazio, chiuso nel suo ruolo da giocatori come Zauri, Oddo e Manfredini ma l’esperienza con l’aquila sul petto è stata comunque indimenticabile. La redazione di Lazionews.eu ha contattato in esclusiva Giallombardo per rivivere con lui i momenti del passato ed avere un parere sull’undici di Inzaghi. Tra aneddoti, emozioni e curiosità, ecco cosa ci ha raccontato.

Andrea, sei romano, sei cresciuto nelle giovanili della Roma e poi hai giocato nella Lazio. Una rarità. Che emozioni hai provato quando ti chiamò la dirigenza biancoceleste?
“Quando inizi a giocare a livello professionistico la verve da tifoso si perde. Diventa un lavoro a tutti gli effetti, anche se per me il calcio ha sempre rappresentato per prima cosa una passione. Non c’è più quell’accanimento e proprio per questo quando mi chiamò la Lazio non ci pensai su due volte. Era un’opportunità unica, tornavo nella mia città, ero felicissimo e non ho esitato nemmeno un secondo”.

La tua è una verve da tifoso biancoceleste o giallorosso?
“Nella mia famiglia sono tutti laziali, in particolar modo mio fratello e mio cugino che vivono tutte le partite con molto trasporto. Sono tifosi veri. Io rimango meno coinvolto. Ho vissuto Trigoria per 8 anni, ho fatto anche il raccattapalle e vivendo quell’ambiente era inevitabile non lasciarsi trascinare, soprattutto perché ero un bambino”.

Sei arrivato alla Lazio nel 2005, un anno non molto fortunato per te. C’era Delio Rossi in panchina. Che stagione è stata? Avresti potuto fare di più? 
“Non ho nessun rimpianto, credo che alla fine ognuno raccolga ciò che semina. Arrivai alla Lazio il 31 agosto, dopo aver disputato già una partita stagionale con la maglia del Livorno. Giocai titolare, e lo sarei stato per tutto l’anno, però arrivò la chiamata della Lazio. Un’occasione irrinunciabile. Quando accettai l’offerta, sapevo a cosa andavo incontro e che avrei trovato poco spazio. Nonostante giocai poco, è una scelta che rifarei”.

Hai un ricordo particolare del tuo anno in biancoceleste?
“Il gruppo. In quell’anno ci ritrovammo in 4 romani nello spogliatoio biancoceleste, un dato che è sempre più venuto a mancare. Oltre a me e Paolo Di Canio, infatti, c’erano Liverani e Firmani e, volendo, anche Peruzzi che è nato qui vicino (Blera ndr). Quella stagione la porto nel cuore, un ricordo bellissimo. Facevo parte di un gruppo importante, dove vi erano giocatori che poi sarebbero diventati Campioni del Mondo nel 2006 (Oddo e Peruzzi) e tanti giovani in rampa di lancio”.

Scorrendo rapidamente la tua carriera, nel 2010 eri a Grosseto e tra i tuoi compagni di squadra figurava un giovanissimo Ciro Immobile! Che giocatore era? 
“Il primo ricordo che ho di Ciro è da avversario. Lo incontrai un paio di mesi prima della chiusura del mercato di gennaio, sessione nella quale poi ci trasferimmo entrambi al Grosseto. Si giocava Siena-Ascoli, in panchina per i toscani c’era Antonio Conte. A un certo punto decide di mettere in campo questo ragazzino neanche ventenne. Velocissimo, imprendibile, tant’è che mi avvicinai a Ciro e gli dissi: “Ao fermate perché senno qui ci ammazzi!”.

Come fu poi averlo dalla stessa parte? Frequentavi Ciro anche fuori dal campo?
“Vedendolo allenare non potevi non pensare che fosse un fenomeno. Una capacità di trovare la porta unica, una facilità di calcio disarmante. Era di un’altra categoria, correva per dieci. Fuori dal campo ci frequentavamo poco: io ero a fine carriera, Ciro agli inizi e preferiva uscire con i ragazzi della sua età. Da compagni di squadra il rapporto era ottimo, c’era stima e rispetto reciproco”.

Passando alla Lazio di oggi, che idea ti sei fatto della squadra di Inzaghi?
“La Lazio è una squadra forte, lo ha fatto vedere lo scorso anno e lo sta dimostrando anche adesso. Ha avuto la battuta d’arresto nel derby che può aver causato un contraccolpo psicologico ma ricordiamoci che dobbiamo ancora vedere i veri Milinkovic e Luis Alberto. Sono convinto che la Lazio lotterà fino in fondo per un posto in Champions League”.

Domenica c’è Parma-Lazio. Quali potranno essere le insidie maggiori per i biancocelesti?
“Il Parma è una squadra di contropiedisti: Gervinho, Di Gaudio, ma anche gli stessi Ceravolo ed Inglese. La Lazio dovrà fare bene le marcature preventive, ma Inzaghi in questo è un maestro. Quel che è certo è che occorre assolutamente vincere”.

Un’ultima domanda non può che essere su di te: cosa c’è nel futuro di Giallombardo?
“Ho preso il patentino da allenatore ma ancora devo decidere che strada intraprendere. Ho parlato con qualche società dilettantistica di Roma ma l’approccio che c’è nel calcio di oggi con i giovani non mi piace. Si parla solo di tattica e a quell’età è una cosa assurda: a 11, 12 anni devi insegnarli il gioco e la tecnica di base, il resto viene dopo”.

Marco Barbaliscia 

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