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Mihajlovic e la sua Lazio: “Avremmo dovuto vincere almeno un altro scudetto. Anni bellissimi”

NOTIZIE LAZIO – L’ex: “Ancora prendo in giro Vieri. Perché?”…

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NOTIZIE LAZIO – A “Mister Condò” Sinisa Mihajlovic si racconta: “Mi raccontò una volta Eriksson che arrivato alla Lazio disse subito a Cragnotti: “Se mi prendi Mancini, Mihajlovic e Veron, noi vinciamo lo scudetto. Fu proprio così”. Era una squadra straordinaria, quando leggo i nomi di quella rosa mi dico sempre che abbiamo vinto troppo poco rispetto a quanto avremmo potuto. Per due o tre anni solo il Parma riusciva a stare a pari passo con noi. Ma in Italia eravamo superiori a tutti, in Europa invece non siamo mai riusciti ad imporci più di tanto. Con quella squadra avremmo dovuto vincere almeno un altro scudetto e andare in finale di Champions League. Di sicuro in quegli anni la Lazio è stato come un luna park dove mi sono divertito da pazzi”.

Su Vieri

Dopo aver perso lo scudetto al primo anno Vieri mi confidò che voleva andar via perché a Roma non avrebbe vinto nulla. Qualche anno dopo gli dissi: “Meno male, sei andato via tu e abbiamo vinto tutto!”. Ancora lo prendo in giro quando lo vedo (ride, ndr)”.

Su Eriksson 

“Succedeva spesso che in campo ci si accorgeva che qualcosa non andava e da soli ci rimettevamo a posto, senza che Eriksson dicesse nulla. Sapevamo risolvere le situazioni da soli, parlandoci tra di noi. Tutti eravamo abbastanza intelligenti per capire quale strada percorrere e andare nella stessa direzione. Eriksson era molto bravo a gestirci, era un maestro in questo. Quando era veramente incaz***o al massimo diventava tutto rosso e diceva “porca miseria!”. Però tutti lo rispettavano. Poi noi più grandi gestivamo lo spogliatoio. Se c’era qualcuno che alzava un po’ la cresta doveva vedersela con noi. All’inizio eravamo io, Mancini poi anche Couto ad avere il polso della situazione. Gente che magari parlava poco, ma a cui bastava uno sguardo per dire tutto”. A tal proposito, un aneddoto piuttosto esplicativo per sottolineare la personalità di quel gruppo: “Una volta durante una tournée in Spagna andammo in un bar dopo una partita. C’erano dei tipi un po’ ubriachi che ci infastidivano. Eravamo io, Stam, Couto e qualche altro, ma bastavamo noi tre. Siamo partiti e… sono scappati. Sì, eravamo proprio una squadra tosta!”.

Sulla magia delle sue punizioni

A me piaceva più il basket piuttosto che il calcio. Ma giocando a pallone potevo tirare le punizioni. Prendevo sempre la stessa rincorsa e preferivo calciare quelle più lontane dalla porta. Tant’è che una volta Boban contro il Milan prima di tirare prese il pallone e lo avvicinò. Io lo segnalai all’arbitro che mi rispose: “Sei l’unico che si lamenta perché ti hanno avvicinato il pallone!”. Per un portiere era impossibile capire dove tirassi le punizioni, perché la rincorsa era sempre la stessa e la differenza la faceva l’ultimo passo, se era più o meno veloce. Da quello stabilivo se puntare il primo palo o il secondo. Guardavo il portiere fino a quell’ultimo passo e se si muoveva prima sceglievo il secondo palo, altrimenti il primo. Se mi sento il migliore al mondo su punizione? Di sicuro sono quello che ha fatto più gol. Ma ce ne sono stati tanti di bravi – conclude il serbo –. Io credo però che come le calcia un mancino non le calci nessuno. C’è qualcosa di diverso, poi dipende dai gusti”.

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