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PAROLO: “GERRARD il mio idolo: mi piace essere nel vivo del gioco, altrimenti mi addormento!”

Il centrocampista laziale svela: “Il calcio inglese mi affascina molto. Futuro? Non so cosa farà da grande: se resterò o meno nel calcio lo vedremo più avanti”…

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NOTIZIE LAZIO – “Qualche giorno fa ho bruciato una torta, forse mi sono distratto un po’, ma sto imparando a cucinare”. Calcio e non solo: questa l’interessante intervista che Marco PAROLO ha rilasciato al mensile Calcio2000. Una lunga chiacchierata nella quale il centrocampista della LAZIO ripercorre gli albori della sua carriera, svela i proprio hobby e tanto altro. Ecco le sue parole:

Parolo, partiamo da lontano. Se lei è diventato un calciatore affermato, a chi lo deve?
“Ringrazio i miei genitori per avermi dato innanzitutto delle regole di vita. Da ragazzini c’è il rischio di perdere i punti di riferimento e invece loro mi hanno insegnato la cultura del lavoro e la serietà. E poi non mi è mancata la caparbietà, grazie anche a mia moglie che mi è sempre stata vicina pure nei momenti più difficili”.

I suoi primi allenatori che cosa le dicevano?
“Il mio primo tecnico al Torino Club di Gallarate mi fece addirittura piangere. Mi diceva: “Corri qui, corri là!”. Restai traumatizzato, perché sembrava quasi che il calcio non facesse per me”.

La sua carriera però poi ha parlato per lei. E nel corso degli anni quali sono stati i tecnici che le hanno lasciato un segno profondo?
“Con la sua grinta, Bisoli mi ha insegnato a sacrificarmi, a lottare per conquistarmi spazio. Come era da calciatore, lo è anche da allenatore. E’ stato il primo a dirmi che avrei tranquillamente potuto giocare in A. Anche Donadoni è stato molto importante, perché mi ha trasmesso la mentalità vincente, l’idea di giocare sempre, in qualunque occasione, per conquistare il successo. Ficcadenti invece mi ha insegnato alcuni movimenti utili per il 4-3-3”.

Lei è sempre stato una mezzala?
“Da bambino per la verità il mio primo ruolo fu il libero. Non lo faceva nessuno e l’allenatore ritenne che avevo le caratteristiche adatte per quel ruolo. Poi passai a fare l’esterno sinistro e infine sono stato utilizzato sul centro-sinistra a metà campo. Così sono migliorato col mancino. Lo posso usare tranquillamente, quando gioco non devo… tagliarmelo”.

E’ un gran tiratore: ha sempre avuto la gran botta da fuori?
“Mi è sempre piaciuto calciare la palla, anche da piccolino in casa. Ho avuto tanti maestri che mi hanno dato la possibilità di affinarmi grazie ai loro segreti. Su tutti Mario Bortolazzi, vice di Donadoni al Parma. Anche lui in carriera ha sempre avuto un tiro eccellente”.

Dunque un suo maestro è un ex milanista. Contento anche per questo motivo, visto che è stato tifoso del Milan?
“Da ragazzino avevo in camera i poster di Maldini, Van Basten e Baresi. Era il Milan degli anni ’90 che vinceva in continuazione. La prima volta che vidi i rossoneri a San Siro fu in una partita contro la Reggiana di Futre. Ricordo l’emozione di entrare allo stadio ma anche che ci rimasi male perché il Milan non vinse”.

Tornare a giocare a San Siro da avversario che effetto le ha fatto?
“La prima volta stranissimo. Giocai contro l’Inter e per dieci minuti non capii niente della partita. Il primo tiro lo mandai verso la bandierina… Poi pian piano giocai meglio anche se perdemmo 3-2”.

Torniamo a lei: il suo idolo?
“Gerrard, perché cerca sempre la porta e l’inserimento. E’ un centrocampista a tutto campo e a me, come lui, piace essere nel vivo del gioco, altrimenti mi addormento. Ai Mondiali gli ho chiesto la maglia, ma purtroppo l’aveva già promessa. Ma averci giocato contro è stata un’emozione fortissima”.

Tifoso anche del Liverpool?
“Sì, mi affascinano la squadra, la curva, l’inno. Mi piace anche l’Arsenal, il rosso del resto è il mio colore preferito”.

Non è che prima o poi farà un’esperienza in Inghilterra allora?
“Il calcio inglese mi affascina molto. Gli stadi sono un modello da esportare in Italia, anche se qualcosa finalmente si sta muovendo anche da noi. Giaccherini mi racconta che il tifoso inglese si sente tutt’uno con lo stadio e ha un grande attaccamento, quasi un senso d’appartenenza anche all’impianto della sua squadra”.

Parliamo della Nazionale: che esperienza è stata quella dei Mondiali dal punto di vista personale?
“Aver fatto parte dei convocati è stato bellissimo. Purtroppo ci è mancata anche un po’ di fortuna. Però è stata un’esperienza nuova che in fondo ero convinto di poter vivere”.

In che senso?
“In occasione della finale del 2006 stavo tornando da un viaggio a Santo Domingo con mia moglie. Mentre eravamo in volo le dissi di non preoccuparsi perché nel 2014 li avrei giocati da protagonista. E’ la dimostrazione che se uno vuole arrivare, può farcela”.

E adesso, con Conte?
“Ha portato una nuova mentalità, il ct punta molto sul concetto di squadra. Sceglie i suoi uomini per il proprio gioco, ma devono dare garanzie. E tutti devono guadagnarsi il posto”.

Lei intanto si concentra ed evita i soliti passatempi dei calciatori…
“Ho disattivato i social network. Mi sono tolto da Facebook anche perchè in tanti ti scrivono e poi magari se non rispondi a tutti sembri scortese. Non mi piace che la gente pensi che io me la tiri. Sono un ragazzo normale e credetemi tanti calciatori sono come me”.

Però non ha tatuaggi…
“Mia moglie voleva farsene uno con me, ma mi sono rifiutato. Penso a come sarò tra qualche anno e se lo avessi fatto poi mi chiederei: perchè mi sono tatuato?”.

Un ragazzo con pochi grilli per la testa insomma…
“Ma nel calcio non ci sono solo i giocatori che vanno in giro con auto da capogiro. A me piace stare in famiglia, ma non disprezzo certo una bevuta la sera con gli amici. Può anche capitare una volta di fare le tre di notte, ma non lo faccio per forza”.

La vita da padre di famiglia adesso com’è?
“Impegnativa, vedo molte meno partite, perché devo occuparmi delle faccende di casa. Ma quando vedo mio figlio Dante tutti i problemi scompaiono. Cerco di essere d’aiuto a mia moglie, cambio il pannolino a mio figlio e mi metto anche dietro ai fornelli. E poi quando ho un attimo libero continuo a leggermi i thriller o le biografie o le storie vere dei grandi personaggi. In particolare ho letto tutti i libri di Michael Connelly”.

Poi deve anche portare il cane a passeggio…
“Sì, a casa mi abbiamo sempre avuto la passione per i cani. E col passare del tempo non ho abbandonato l’idea di averne uno. Chef è un hovawart e ha una bocca che, solo quella, è grande come mio figlio. Per ora lo lecca e basta per fortuna (ride, ndr)”.

Ora sta prendendo anche dimestichezza in cucina, ma qual è stata la città in cui ha trovato il miglior cibo?
“Devo dire che in Romagna si mangia davvero bene. I primi, gli strozzapreti, i passatelli al sugo, le piadine, lo squacquerone… Le possibilità di scegliere non mancano affatto e da questo punto di vista, nel mio girovagare tra le varie città, sono stato fortunato”.

Chiudiamo con i progetti futuri.
“Non so cosa farà da grande. Se resterò o meno nel calcio lo vedremo più avanti. Mi piacerebbe girare il mondo, mi manca la possibilità di farmi una settimana bianca durante l’inverno. Sono stato in Sudamerica ad esempio, in Brasile con la Nazionale, ma quando sei in giro con la squadra inevitabilmente vedi poco o niente, dunque mi piacerebbe tornarci un giorno. Ma con mia moglie abbiamo in mente anche una missione in Africa per i bambini, per provare a dare aiuto a chi ha bisogno”.

Magari riprenderà anche lo studio?
“Mah, forse è passata l’ora. Dopo aver terminato il liceo scientifico avevo provato a fare l’università, Economia e Commercio. Volendo, il tempo a disposizione c’era eccome, ma mi accorsi che non avevo la testa per andare avanti. In quel periodo comunque partecipai anche a due Universiadi arrivando sempre in finale”.

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