Gabriele Paparelli su papà Vincenzo: "Mi mancò il suo affetto, importante il ricordo della gente"

Pubblicato 
lunedì, 28/10/2019
Di
Redazione Lazionews.eu
Tempo di lettura: 2 minuti

LAZIO PAPARELLI RICORDO - Era il 28 ottobre di 40 anni fa quando Vincenzo Paparelli, 33enne tifoso laziale, morì all'Olimpico durante un derby per il lancio di un razzo che lo colpì in pieno volto. Una famiglia sconvolta da un evento tragico per tutto il mondo del calcio. Tanta fu la vicinanza e le parole di affetto, soprattutto da parte dei tifosi biancocelesti, ma non mancarono le ingiurie e le offese al suo ricordo. Ancora oggi è un argomento di attualità, tanto che anche Sky ha deciso di dedicare uno speciale sull'evento. Su questi temi si è espresso il figlio della vittima, Gabriele, che ha parlato ai microfoni di Radio Incontro Olympia.

Il ricordo

"Di papà mi è mancato tutto. Il suo affetto soprattutto. Una famiglia bella e serena, semplice in quegli anni, che ha visto tanti progetti stravolti. Sono cresciuto improvvisamente in poche ore. La mattina avevo tanto affetto vicino, la sera mi ritrovai a dormire da solo su un lettino a casa di una zia. Mi manca tutto quello che avrei potuto fare poi con mio padre. Lui aveva un'attività e il mio sogno era di seguire le sue orme. Purtroppo non è potuto accadere".

L'affetto dei tifosi

"Noi abbiamo cercato sempre di far rimanere il nostro dolore circoscritto all'ambiente familiare. Poi questo non è stato possibile, lo sappiamo tutti. Ci fu al venticinquesimo anno, quando misero la targa all'Olimpico, un Veltroni che ci aiutò, ci chiese se lavoravamo e ci diede un posto di lavoro per me e mio fratello che eravamo precari. Importante l'affetto e il ricordo della gente che ci ha aiutato ad andare avanti".

Sulla figlia

"Sono papà di una bambina di sette anni che sta diventando lazialissima. Sin da piccola sapeva che il nonno non c'era, ma l'ha cominciato a conoscere allo stadio quando si è incuriosita vedendo la bandiera col suo volto in curva. Gli ho spiegato che era un tifoso speciale che tutti ricorderanno sempre. Lei sta iniziando a capire il contesto. Sto cercando di trasmettere tutti i sani valori di mia mamma e di mio fratello".

Gli insulti

"Spero si tocchi un fine a questa storia. Siamo arrivati a 40 anni, è ora che ci sia una presa di coscienza. L'affetto di tanti tifosi romanisti mi fa molto piacere. È bruttissimo insultare una persona che non c'è più. Lo sfottò va bene, ma non bisogna trascendere. Lo sport è la semplicità negli occhi di mia figlia quando è entrata allo stadio la prima volta". 

Il perdono all'omicida

"Non so cosa dire. Mi sarebbe piaciuto davvero incontrarlo e guardarlo negli occhi. Non per trasmettergli odio, ma per capire le dinamiche dietro a un gesto da giovane ingenuo. Un 18enne armato fino ai denti con dei razzi da guerra (Giovanni Fiorillo ndr). Io a lui l'ho già perdonato. Col tempo poi si cresce e si capiscono tante cose. Il perdono fa parte della mia educazione. Io sono convinto che non sia andato allo stadio per uccidere. Questo mi conforta, ma non avere un confronto è l'unica parte che mi manca di tutta questa vicenda. Non è stata solo la mia famiglia ad essere rovinata, ma anche la sua. Il perdono è anche un modo per stemperare e per far capire che c'è davvero una seconda possibilità per tutti. Io ci tengo molto allo stadio, allo sport e al calcio, cosa che amo. Ce lo dobbiamo tenere stretto".

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