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GREGUCCI sulla sua Lazio: “Eravamo tutti uniti, lo staff tecnico, la società: avevamo una grande responsabilità e un grande senso di squadra”

NOTIZIE SS LAZIO – “Il mio ricordo va a chi ha lasciato un segno a questo club e adesso non c’è più.”

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NOTIZIE SS LAZIO – Angelo Gregucci ha fatto parte di 114 anni di gioie e dolori biancocelesti, arrivando a Roma nel 1986. Se ne sarebbe andato nel 1993. Prima dell’era Cragnotti. Lasciando una Lazio ben diversa da quella che aveva trovato. Ai microfoni di Lazio Style Radio l’ex difensore biancoceleste racconta: “La mia Lazio è quella che trovai nel 1986, in un periodo bruttissimo per la società capitolina. E’ la Lazio che poi lasciai quasi a traguardo raggiunto, prima di Cragnotti. La mia Lazio è quella del periodo peggiore, quasi drammatico, sotto il profilo sportivo, eravamo ad un passo dal baratro. Poi ha intrapreso un percorso che sarebbe stato gratificante sia per me che per la società, riuscendo a riaccedere alle competizioni europee. Rientrando in pianta stabile tra le big del campionato italiano. Quello che ci caratterizzava era un grande senso di appartenenza e il fatto che non fossimo mai soli. Anche chi era arrivato da meno tempo, io ero a Roma da appena un anno. Eravamo tutti insieme a lottare aldilà dalla valenza tecnica che avremmo espresso noi sul campo la domenica. Tutti uniti, lo staff tecnico, la società: avevamo una grande responsabilità e un grande senso di squadra. Avevamo determinazione nel voler salvare il nostro club. Finivamo l’allenamento con tante persone a Tor di Quinto, il seguito era più ampio. Ci davano pacche sulle spalle e magari ci schiaffeggiavano se in campo non davamo il massimo. C’era tutto, eravamo molto più umani, e dell’umanità degli altri eravamo riusciti a fare la nostra forza”. Era il 21 giugno 1987, quando vincere significava spazzare via gli spettri della serie C:”Quando Fiorini, a pochi minuti dalla fine, gonfiò la rete del Vicenza. Non ricordo un urlo allo stadio così potente. Di solito si arriva un’ora e mezza prima della partita per fare il sopralluogo del campo. Quel giorno lì si faceva fatica a passare sotto il tunnel. C’era un caldo terrificante. Arrivati sul campo, guardando gli spalti, non si vedevano le scale di servizio. Già da un’ora e mezza dal fischio d’inizio lo stadio Olimpico era pieno. Quando tornammo negli spogliatoi, c’era silenzio tombale: dovevamo vincere per forza. Il mio ricordo va a chi ha lasciato un segno a questo club e adesso non c’è più. E mi auguro che l’appartenenza al club ridiventi un valore, che per una manciata di euro in più non si cambi club. Quando un giocatore abbraccia i valori morali di una società, bisogna tenere presente che non si vince senza senso di appartenenza. Bisogna essere dei professionisti, non dei mercenari che cambiano squadra per cinquanta mila euro. E’ necessario anche per i tifosi questo senso di appartenenza, avere un contatto umano diverso, aiutare sempre, senza essere schematizzati in valori lontani dal calcio. I giovani laziali devono conoscere la nostra storia, i nostri valori morali, e se li sposano devono tramandarli nel tempo”.

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