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COPPA ITALIA

PREMIO LAZIALITA’ 2014. PORTANOVA: “Guai se mi toccano la LAZIO”! BIAVA: “Il 26 maggio è il mio Scudetto”. Poi sorpresa PETKOVIC… (FOTO)

Sono tantissime le personalità biancocelesti salite sul palco, dai campioni del ’74 a quelli più recenti, da Marchegiani ai gemelli Filippini, da Fiore a Corradi passando per Calori. Poi il ricordo commosso di Aldo Donati…

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NOTIZIE SS LAZIO- Serata come tante di Lazialità, con la Capitale sempre biancoceleste, ma questa forse un po’ più del solito. Al Teatro Parioli va in scena il Premio Lazialità, kermesse calcistica e artistica, romana e laziale, giunta ormai alla quarta edizione. Un evento che raccoglie ogni anno le grandi figure della storia laziale, quella remota e quella più recente, oltre a tanti curiosi e semplici tifosi biancazzurri ma anche calciatori dalla rinomata fede laziale come Daniele PORTANOVA e i campioni del ’74, da ODDI a WILSON, passando per PULICI, FACCO e NANNI. A raccogliere il premio tra gli altri quest’anno Beppe BIAVA, Luca MARCHEGIANI e Stefano FIORE, Antonio ed Emanuele FILIPPINI e Alessandro CALORI.

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La prima parte è quella dedicata alla multimedialità e ai giornalisti che si occupano quotidianamente di Lazio e ne raccontano le storie più belle. Tra questi anche il presidente della Polisportiva Lazio, la più grande del mondo, Antonio BUCCIONI, Vincenzo D’AMICO, Marco ‘Nano’ in rappresentanza della Curva Nord, la comicità di Enrico MONTESANO (e della sua Lazialità: “Quando perdo io sò più laziale”) e Velia moglie del grande Aldo DONATI scomparso due mesi e mezzo fa ricordato con una commovente esibizione.

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Poi è la volta dei ‘big‘ della serata, condotta da Guido De Angelis, a cominciare dal ‘conte’ Luca Marchegiani che inizia il suo personale amarcord da quella notte del 19 maggio di 15 anni fa. “La Coppa delle Coppe è difficile da vincere soprattutto perché si giocava di giovedì e nel frattempo lottavamo per il campionato. La partita di Supercoppa Europea contro il Manchester è stata il momento più alto della mia storia alla Lazio, dove ci siamo consacrati a livello internazionale. In quegli anni eravamo fortissimi e forse potevamo vincere di più ma abbiamo avuto il merito di ottenere il riconoscimento del nostro valore dai più forti giocatori e allenatori in Europa e di questo siamo orgogliosi. Il mio approdo alla Lazio? Sono arrivato un anno dopo rispetto alla volontà della società, ho ricevuto diverse chiamate. Il momento più bello a Montecarlo con lo Scudetto che è stata la perla e il trofeo forse più prestigioso, ma non dimentico gli anni precedenti. Avevamo fatto tanta gavetta con qualche sofferenza ma è lì che si è creato lo zoccolo duro che poi è stato rinforzato da quei quattro-cinque grandi campioni. Ricordo con molto piacere Signori, l’unico che non mai avuto il prestigio di vincere un trofeo con la Lazio, una vera ingiustizia”. E’ poi la volta di Alessandro Calori, ormai parte integrante della storia biancoceleste con quel famoso gol con la maglia del Perugia alla Juventus il 14 maggio 2000 che ha permesso alla Lazio di alzare al cielo il secondo scudetto della sua storia. “Mi chiedo un po’ che ci faccio qui, ma in questi anni ho sentito quanto è stato importante quel gol. Vengo sempre ricordato per questo episodio che ormai fa parte di me anche se non ho giocato con la maglia della Lazio. E’ stata una partita particolare, piena di difficoltà, è stato un film. Ho sempre tifato Juve ma io amo lo sport e lo rispetto e questo vale per tutti”.

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Continua il tuffo nei ricordi prima col campione d’Italia Franco Nanni e poi con Stefano Fiore. “Sono orgoglioso di questo premio perché la Lazio è stata la squadra più importante della mia carriera. Purtroppo sono stato alla Lazio solo tre anni per le note vicende societarie, ma mi sarebbe piaciuto scrivere altre pagine. Sono orgoglioso di aver fatto parte di questa gloriosa società”. Sul palco lo raggiunge Bernardo Corradi, amico ed ex compagno proprio in biancazzurro. “Era una Lazio che mi è rimasta nel cuore, abbiamo fatto un bel calcio e riportato la gente allo stadio, umanamente sono rimaste delle amicizie che durano ancora e questo vale tanto. Stefano devo dire che per le qualità che ha poteva raggiungere traguardi maggiori ma questo premio è il coronamento di una carriera comunque importante”. Fiore poi ricorda quella finale di Coppa Italia nel 2004 del ‘Delle Alpi’. “Non era facile fare due gol a quella Juve e a Buffon, mi ha aiutato anche un po’ la nebbia”. E’ la volta poi di un calciatore che non ha mai indossato la maglia biancazzurra ma che della sua fede laziale ha sempre fatto un vanto, Daniele Portanova. “Sono di Monte Spaccato, ho iniziato al CML (Commando Monteverde) ai tempi di Ruben Sosa. Ho iniziato alla Roma ma sotto ho sempre messo la canotta della Lazio, anche se Conti mi aveva fatto togliere la collanina come Muzzi. In un Bologna-Lazio mi hanno fermato gli ultras rossoblu dopo che avevo segnato alla Lazio ma non avevo esultato. Stavo con mio figlio, mi hanno detto: ‘Bravo, non esultare!”. Ho tirato il freno a mano e mi ci sono confrontato, se mi dicono che sono scarso ci sto ma se mi toccano la Lazio non ci sto più allora. Io in biancoceleste? Ho detto ci vengo gratis alla Lazio, più di quello che posso fare? Si è proposto il mio procuratore dal momento che ci sono stati tanti infortunati. Ringrazio tutto il popolo laziale che ha sempre spinto per il mio approdo alla Lazio: rimarrà un sogno. Le ho provate tutte, anche ad andare in Curva”. Ci spostiamo un po’ con il tempo tornando praticamente ai giorni nostri, al passato non troppo passato. A ritirare il premio è Beppe Biava: “Non mi aspettavo questa accoglienza, sono molto contento. Sono tranquillo fuori e in campo il mio modo di giocare aggressivo mi ha portato fino alla Serie A, alla Lazio sono arrivato a 33 anni e ho trovato una seconda giovinezza. E’ stata una scelta difficilissima andare via perché alla Lazio stavo alla grande, ma quando la famiglia chiama... Dias che fine ha fatto? L’ho sentito un mesetto fa. Il momento più bello in biancazzurro? Il 26 maggio, è il mio scudetto. Devo solo ringraziare il popolo laziale, mi ha spinto a dare sempre il massimo e a toglierci grandi soddisfazioni”. Si continua sul fil rouge del 26 maggio, passando per un fittizio collegamento con Senad Lulic, fino ad arrivare a in Svizzera a casa di Vladimir PETKOVIC. “Sto bene alla Svizzera, è una bella avventura con tanti giocatori giovani. E’ stata importante la Lazio per confermarsi e dimostrare il mio lavoro. L’arrivo alla Lazio? Dopo un allenamento finito alle 18.30 con il Sion che voleva confermami arriva la soffiata di un interessamento della Lazio e poi la chiamata di Tare. Presi subito l’aereo per incontrare i dirigenti della Lazio. Abbiamo fatto quattro mesi a grandi livelli, 17 partite senza sconfitta in Europa League: la squadra credeva in se stessa e non aveva paura di nessuno. A gennaio si poteva fare di più. La vigilia del derby? Eravamo abbastanza tranquilli, la squadra era compatta e positiva e aveva ritrovato energie nervose. Cosa ricordo? C’era chi sentiva di più il match come Radu e Candreva che sentivano le pressioni e le chiacchiere della vigilia. Non ci si poteva aspettare una partita bella calcisticamente. Siamo entrati con la giusta cattiveria in modo anche normale contro una Roma tesa e forse presuntuosa. Dopo il gol di Lulic abbiamo avuto la capacità di non perdere la tranquillità e cercare di fare il secondo gol. Negli ultimi tre-quattro minuti l’arbitro non fischiava mai e sono stati eterni. Poi si cominciava a capire la gioia nostra e poi come anche gli altri potevano stare male. La Lazio la vedo ancora e la seguo ogni minuto, negli allenamenti sulla tv ufficiale e anche le varie radio. Ho l’abitudine di proseguire sempre dove mi sono fermato. Rimane la mia Lazio, avrà sempre un posto privilegiato nel mio cuore”. Per chiudere in bellezza ‘i gemelli terribili’ Antonio ed Emanuele Filippini, un momento anche di splendida simpatia. “C’era chi faceva gol e li salvava, noi davamo solo tante botte. L’uomo è più facile da prendere perché è più grande del pallone. Quel derby del 6 gennaio è un po’ l’immagine della nostra carriera, abbiamo sempre messo in campo grinta e determinazione sempre con il massimo della lealtà perchè non siamo alti e i piedi sono quelli che sono. In quel derby Di Canio dopo averci caricato ci disse ‘calmatevi un attimo’. L’affetto dei laziali lo notiamo sempre in giro, ci ricordano sempre molto volentieri. Era una Lazio nuovissima, il primo anno di Lotito. Ricordo quando ci chiamò: Filippini e FIlippini, voleva sapere se avevamo il passaporto”.

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Un momento assolutamente godibile che precede un finale da brividi e a regalarlo è Velia Donati: con il teatro in piedi sulle note dell’inno biancoceleste per eccellenza: ‘Sò già du ore…’

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