D'AMICO: "Così nacque la mia Lazio '74"

Pubblicato 
venerdì, 09/05/2014
Di
Redazione
Tempo di lettura: 3 minuti

RASSEGNA STAMPA SS LAZIO- Genio e sregolatezza. Questo era Vincenzo D'Amico, uno degli immortali campioni d'Italia nel '74. Quell'undici suona come una filastrocca da insegnare ai figli. 'Di Padre in Figlio', appunto. L'ex fantasista biancoceleste ha rilasciato un'intervista al Corriere dello Sport a pochi giorni dall'evento attesissimo del 12 maggio.

Lunedì c’è la festa per lo scudetto della Lazio, ci sarà anche Vincenzo D’Amico.

«Sembra l’esordio. Uguale. Da quando Pino me l’ha detto, si è creata un’attesa enorme. Quando è uscita l’idea, pensavo a un evento di un certo rilievo, ma non con 60 mila spettatori. Conta molto la voglia di Lazio che si ha in questo momento e non si ha per l’attuale per tanti motivi. Ancora di più, adesso il tifoso laziale si sfoga e si è tuffato su questa festa, non ha altri modi per dimostrare il proprio amore alla squadra. Pino ha fatto veramente un grande lavoro, a parte la voglia che abbiamo noi e la gente. Tutto elevato alla massima potenza. Non me l’aspettavo così. Sono immensamente felice, a 40 anni dallo scudetto partecipare a una festa così, è una roba impensaile. E’ stato il primo titolo italiano della Lazio. Alla Juve, all’Inter, al Milan mai si arriverà a festeggiare uno scudetto, perché ne hanno vinti a chili. Per noi è quello lo scudetto. Quello del Duemila ha un valore immenso, ma il primo 74 anni dopo la nascita rimane nella storia della società»

Qual è la prima immagine a cui pensa se diciamo 12 maggio 1974?

«Mi viene in mente lo stadio come se fosse adesso. Sino all’ingresso in campo l’attesa era stata come le altre. A 19 anni non avevo la cognizione, mi sembrava scontato giocare per lo scudetto, pensavo sarebbe risuccesso nelle stagioni successive. Vedere l’Olimpico imbandierato in quel modo fu un’emozione indescrivibile».

Cosa ha rappresentato Maestrelli per D’Amico?

«Maestrelli è stato una cosa che all’inizio non avevo capito. Mi controllava i soldi, non me li faceva prendere, perché aveva paura che li spendessi. Mi toglieva la patente perché temeva guidassi. Guarda questo, pensavo, mi tratta da deficiente e ce l’avevo un po’ con lui. Pensavo di essere abbastanza grande. Quando poi cominci a capire, rifletti e diventi adulto, dici che ha fatto bene. Se a fine anno mi trovavo dei soldi in tasca, lo dovevo a lui, perché al 99% forse me li sarei sparati tutti durante l’anno. Maestrelli ha saputo gestirmi, anche se in quel momento pensavo mi stesse togliendo qualcosa».

Qual è stato il segreto della Lazio?

«Tommaso Maestrelli, non ci sono dubbi. Senza di lui, quella squadra non avrebbe mai vinto. Tutto a cascata. Lenzini era il presidente e si era affidato a Sbardella, che a sua volta scelse Maestrelli. Antonio fece una grande campagna acquisti dopo la promozione in serie A. Nessuno al mondo avrebbe immaginato che quella squadra potesse arrivare terza da neopromossa. L’anno successivo, con due ritocchi, fu scudetto. Ora si scrivono libri sulla Lazio del ’74. Vuol dire che eravamo una squadra particolare, diversa dalle altre, talmente diversa che solo Maestrelli poteva gestirla, con la sua grandissima pazienza e la sua grandissima intelligenza. A tutti dava i contentini. Giorgio è passato per uno che voleva decidere, incidere sulla formazione. In realtà decideva tutto Maestrelli e gli lasciava credere di averlo ascoltato».

Pulici, Petrelli, Oddi, Wilson, Martini, Nanni, D’Amico, Re Cecconi jr, Inselvini, Facco, Manservisi. Cosa penserete ritrovandovi in maglia e calzoncini sul prato dell’Olimpico?

«Sarà un’emozione mai provata, neppure da giocatore. Sto in ansia vera. Entra allo stadio. Spogliati. La formazione. I compagni. Quelli che non ci sono più. I figli di chi non c’è più. Stefano Re Cecconi, Giorgino Chinaglia, mi auguro ci possa essere Niccolò Frustalupi. Degli 11 l’unico insostituibile era Frustalupi. Chinaglia è stato Chinaglia. Senza Mario non saremmo arrivati allo scudetto. Fu una brillante intuizione di Sbardella, che lo acquistò vendendo Massa. Nel ‘73 era considerato finito e invece giocò per altri 10 anni. Sarò felice di vedere e abbracciare suo figlio».

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