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Cribari: “Felipe Anderson fa scelta ambiziosa andando al Palmeiras”

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CRIBARI FELIPE ANDERSON LAZIO – L’ex difensore della Lazio, Emilson Cribari, ha commentato la decisione di Felipe Anderson di lasciare la società biancoceleste al termine della stagione per tornare in Brasile e vestire la maglia del Palmeiras.

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Cribari: “Palmeiras ha potenziale economico”

Questo il pensiero espresso da Emilson Cribari a Dotsport.it sul trasferimento di Felipe Anderson al Palmeiras: “Quella relativa al suo trasferimento è stata la notizia principale su tutti i giornali. Viene visto come uno degli acquisti più importanti degli ultimi anni del Palmeiras. E parliamo di una squadra che sta dominando qua in patria. Il club ha potenziale economico”. 

Sulla Saudade 

“Incide la distanza da casa, ma in Italia Felipe è cresciuto e si è realizzato. Quindi secondo me non è una scelta dettata dalla mancanza di casa. Secondo me vuole la nazionale, vuole partecipare al Mondiale. Il Palmeiras per attirare l’attenzione dell’attuale commissario tecnico è meglio anche della Juventus, altra squadra che era interessata a Felipe. Secondo me la sua quindi è una scelta ambiziosa”.

Su cosa fa oggi Cribari

“Gestisco una scuola calcio per bambini/ragazzi dai 4 ai 16 anni. La scuola calcio si chiama C25 Soccer Academy. La “C” è l’iniziale del mio nome, il 25 è il numero di maglia che indossavo alla Lazio. Siamo molto soddisfatti del lavoro che stiamo svolgendo: ci sono circa 400 ragazzi che si sono affidati a noi. Stiamo attenti non solo al lato tecnico ma anche a quello educativo”.

Sulle nuove generazioni

“In generale però le nuove generazioni un po’ mi preoccupano. Credo che la mia sia stata l’ultima generazione di leoni. Ne parlo spesso anche con qualche mio ex compagno. Oggi non c’è più la stessa passione, la stessa fame. Molti ragazzi giocano pensando ai soldi che potrebbero guadagnare o ai social. Si cerca la visibilità personale, la squadra e l’amore per la professione vengono messi in secondo piano”.

Sulle differenze con la sua generazione

“Io ho giocato con la faccia rotta perché la squadra aveva bisogno di me e amavo la maglia. Ora se piove i ragazzi non si vanno ad allenare. Se si allontanano dai genitori spesso si dimostrano fragili mentalmente e tornano a casa, rinunciando al sogno e alla passione”.

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