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«Un amico vero ma quante botte»

IL TEMPO (F.Bovaio). Sergio SANTATINI, leader della ROMA negli anni ’70, ricorda Giorgio CHINAGLIA, avversario di tante battaglie in campo…

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Santarini Sergio 00

RASSEGNA STAMPA SS LAZIO – Sergio SANTATINI è stato uno dei giocatori simbolo della Roma, con la quale ha giocato dal 1968 al 1981 collezionando 344 partite in serie A (terzo più presente di sempre dopo Totti e Losi). Ruolo difensore centrale, sono epiche le sue battaglie in campo con Giorgio CHINAGLIA. Il giorno dopo il ritorno della salma di Long John a Roma, ‘Il Tempo’ ha realizzato un’intervista con lo stesso SANTARINI per ricordare il campione biancoceleste. Ecco i passaggi più significativi:

«Con Giorgio ci eravamo conosciuti nella nazionale di C, nella quale ci ritrovammo insieme quando eravamo ancora giovanissimi. Forse avevamo diciannove anni e quell’esperienza comune ci unì moltissimo, anche perché io sono un uomo mite di natura e lui era un compagno di squadra bravissimo, che fuori dal campo dimostrava di avere un’umanità rara. Per questo nei tanti derby in cui ci siamo affrontati non abbiamo mai discusso. E poi io ero l’unico romanista che viveva dove abitavano i grandi protagonisti di quella Lazio, tra Vigna Clara e la Camilluccia. Dunque li incontravo spesso fuori dal campo. Anzi, alla fine forse frequentavo più loro dei miei compagni, che risiedevano in altre zone, ben più lontane. Perciò non mi vedevano certo come un nemico, anche se la rivalità sportiva c’era eccome, ovvio».

Ma non aveste nulla da ridire neppure dopo il famoso episodio del dito rivolto da Chinaglia alla Sud?
«No, anche perché sul campo non mi accorsi di quel brutto gesto, che esulava dalla mia mentalità. Forse se me ne fossi accorto gli avrei fatto notare che sarebbe stato meglio non farlo. Ma va detto che lui sul campo si trasformava e la carica agonistica prendeva spesso il sopravvento. Però vi assicuro che se anche gli avessi detto qualcosa lui non se la sarebbe mai presa, perché avevamo un buon rapporto. Quando giochi insieme da ragazzino in nazionale, come capitò a noi, ogni volta che ti rivedi pensi: ecco il mio amico. Le esperienze giovanili comuni uniscono per sempre».

Cosa pensa del ritorno della salma di Chinaglia a Roma e della sua collocazione nella cappella dei Maestrelli?
«È giusto così, perché Maestrelli per Giorgio è stato un padre putativo, che lo ha aiutato molto a crescere e a diventare il campione che è stato. Anzi, credo che se non si fosse ammalato, lui non sarebbe mai andato a giocare in America, anche perché partì che era ancora molto giovane e aveva ancora tanto da dare al nostro calcio».

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