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Gabriele Sandri, il fratello: “Ho chiamato mio figlio come lui per sentirlo più vicino”

GABRIELE SANDRI LAZIO – Una ferita che non si potrà rimarginare mai. Questo rimane per la famiglia Sandri, e più in generale per tutto…

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GABRIELE SANDRI LAZIO – Una ferita che non si potrà rimarginare mai. Questo rimane per la famiglia Sandri, e più in generale per tutto il mondo del calcio, per l’assurda e prematura scomparsa di un ragazzo capace di unire tutte le sue tifoserie dello Stivale, come mai accaduto in precedenza. Sulle pagine del ‘Corriere dello Sport’, dopo papà Giorgio, parla anche il fratello Cristiano.

LA MESSA – “Ci piacerebbe venisse ricordato con spontaneità. Non ci aspettiamo qualcosa, quello che sarà fatto ci farà piacere. Anche se ricorrerà il decennale della sua morte, un anniversario importante, come famiglia non è che volessimo organizzare qualcosa, poteva essere sufficiente il ricordo con una messa, come negli altri anni. E la faremo alle 17 presso la chiesa di San Pio X, nel quartiere Balduina. I ragazzi della Nord, che hanno sempre ricordato Gabriele in questo decennio, vogliono farlo in modo speciale e ci hanno coinvolto nel sit-in organizzato per sabato alle 14,30 sotto la Curva Nord. Sono state invitate tutte le tifoserie d’Italia. Il raduno è previsto proprio in quella zona di passaggio, tra la Curva e la Tevere, che per noi è il pezzo di stadio più rappresentativo. Lo percorrevamo, con papà, per andare in Tevere. E poi per andare in Curva Nord, io e Gabriele, da soli. Lui è stato più fortunato perché in Curva ci è venuto con me, è stato avvantaggiato, era accompagnato dal fratello maggiore. Io ci sono andato più tardi”.

RICORDI DI GABRIELE – “C’è da correggere una parte, io non mi arrabbiavo. Prima dei miei ­figli, che sono nati da poco, il più grande ha 8 anni e si chiama Gabriele come lo zio, mio fratello era la persona che amavo di più. Non sono mai stato geloso, com’era normale, che gli si perdonasse qualcosa e si arrabbiassero con me. Ho condiviso tutta la sua vita. La passione per la musica inizialmente gliel’ho infusa io. A me passò subito. Lui approfittò di tutto l’armamentario che avevo acquistato e si mise a suonare. Mi ricordo quando papà e mamma lo portarono a casa dall’ospedale, era appena nato. Passai non so quanto tempo a guardarlo nella culla. Abbiamo seguito lo stesso percorso. Abbiamo giocato a calcio nelle stesse squadre, siamo andati nelle stesse scuole. Sono contento perché, anche se purtroppo la sua vita è stata breve, non c’è un giorno che non abbia vissuto con mio fratello. Ed è bello sentirlo ancora profondamente vicino. C’è un ­filo di sangue che non si interrompe. Dopo che è accaduta la tragedia, sono diventato papà. Non sapevo mia moglie fosse incinta. Ho sognato un bambino, sentivo che era mio fratello. Era su un girello per bimbi e dopo 15 giorni mia moglie ha avuto il ritardo. Dopo 3-4 mesi abbiamo saputo che avremmo avuto un maschio. Gabriele è sempre con noi”.

L’ULTIMA PARTITA – “Aveva detto a papà che non sarebbe andato? Gli aveva detto una bugia (risata, ndr), non c’era partita che saltasse, in casa o in trasferta”.

LA MAMMA – “Possiamo fare un cenno alla mamma. Non si è più ripresa da quel giorno e questo bisogna dirlo. Abbiamo cercato di proteggerla, ma non puoi proteggerla dal dolore più grande, dal dolore più innaturale. Perché sopravvivere al proprio ­figlio è innaturale. Adesso che sono diventato padre me ne rendo conto”.

IL RIFIUTO DEI CALCIATORI – “La spiegazione fu allucinante, fu peggio della non volontà di giocare portando il lutto al braccio, dissero ‘poteva essere un mafioso’”.

MINUTO DI SILENZIO – “Fu un’assunzione di responsabilità. Tutto il contorno era più resistente per motivi elettorali, chiamiamolo così, alla fine gira tutto lì. E per non andare a impattare contro critiche, per me corrette, perché non si spara su un’autostrada in quel modo. Come dicevo prima, siamo rimasti incastrati tra il politicamente corretto e il non politicamente corretto. L’importante è che sia emersa la verità. Un anno in più o in meno di galera non ci avrebbe ridato Gabriele. Volevamo la verità dei fatti. Parlare di colpi sparati per aria era un’offesa ulteriore. Manganelli aveva capito tutto benissimo. Si era trattato di un pazzo scatenato a sparare in quel modo in mezzo ad una strada. Di cosa parliamo?”.

LE PARTITE PIU’ BELLE – “Lui è stato fortunatissimo, si è goduto i tempi di Cragnotti alla grande. La prima partita che abbiamo visto tutti e tre insieme, io, lui e papà, è stata Lazio-Vicenza, quella di Fiorini. Eravamo in Tevere. Ce lo trovammo quattro ­file più giù. I tifosi lo abbracciavano, gli regalarono la sciarpa. La più bella forse è la ­finale di Parigi contro l’Inter. Andammo in Francia in pullman, 48 ore di viaggio per 90 minuti di partita. Due giorni che furono un secolo. Chi non prova questa passione così forte non riesce a comprendere. E’ stato bello aver vissuto lo scudetto in Curva Nord, ascoltando la partita di Perugia. Abbiamo fatto in tempo a vedere insieme il gol di Di Canio al derby. Ci sono tanti ricordi”.

TOUR INSIEME – “Mi invitava spesso. C’erano ragazzi più piccoli. Molte serate le ho vissute e sono sempre state divertenti. Era apprezzatissimo anche da dj. Suonava a Roma, anche in montagna, al mare, al Tartarughino in Sardegna. Era anche un latin lover (risata, ndr). Una volta suonò a Cortina, incontrò Lotito. Di Gabriele si conosce la foto che è diventata un murales. Si dice che gli occhi sono lo specchio dell’anima, i suoi gli rendono giustizia. Non perché io sia il fratello, ma aveva davvero un cuore nobile. Era premuroso con chi stava in difficoltà, aveva un pensiero per i più deboli, cercava di coinvolgere chi era in difficoltà, era un anti-bullo, un anti-prepotente”.

ROMA E LAZIO UNITE PER GABRIELE – “E’ vero, in altri casi non c’è stata aggregazione. La morte di Gabriele è stata vissuta in modo non divisivo, ha unito. E’ anche vero che proprio dalla gente è arrivata la vicinanza più spontanea, tante persone ci hanno accompagnato dall’inizio della tragedia e questo ci ha stupito. Anche una piccola telefonata è riuscita a durare per così tanto tempo. La vicenda, per il politicamente corretto, era scomoda. E per il non politicamente corretto non era tanto comoda. La morte di Gabriele non è rientrata tra le morti per le quali sono state fatte bandiere”.

SOLIDARIETA’ – “C’era anche un contenitore di gas vicino. Poteva chiedere che venisse fermata la macchina al primo casello… Vedere l’immagine di Gabriele in tutti gli stadi d’Italia e d’Europa, per noi è importante. Vedere il suo volto ha un grande valore sentimentale, è come se fosse ­fisicamente su ogni campo dove c’è la Lazio. Gli amici che non hanno mai fatto mancare affetto sono amicizie nate allo stadio. Il bello dello stadio è proprio questo, non c’è quartiere, non c’è ceto sociale. Si sono rivelate le amicizie più vere”.

INDAGINI E PROCESSO – “La contrapposizione che c’è stata inizialmente, che ha messo di fronte tifoserie e forze dell’ordine, non è stata voluta né cercata dalla nostra famiglia né dalle tifoserie stesse. Molti hanno cercato di strumentalizzare. Inizialmente è stato un problema di comunicazione da parte delle agenzie che venivano pubblicate. C’è una telefonata delle 9,30 dell’11 novembre, tra il 118 e la sala operativa della Polizia, ed era già tutto chiaro. E invece, sino alle 11,30, si è parlato di scontri tra tifosi, si è detto che era partito un colpo ed era morta una persona. Alle 18, ad Arezzo, la versione era ancora questa. Sentivo la conferenza del Questore di Arezzo in diretta e nel frattempo guardavo il vetro della macchina forato dal proiettile. Dire che si era sparato per aria era inimmaginabile. Che deviazione avrebbe dovuto avere il proiettile per ­finire lì, in quel punto? Il processo lo ha dimostrato. Appena ho sentito parlare di deviazione del proiettile, conoscendo un po’ della cultura nostrana, mi si sono rizzati i capelli, ho capito che dovevamo stare in allerta. Poi si è parlato della deviazione della rete, vicina alle barriere new jersey. L’importante è che il processo, non quello di Arezzo, abbia portato la verità alla luce. Ad Arezzo c’è stato un tecnicismo del diritto così sottile, che non tutti gli addetti ai lavori possono conoscere: evidenzia un discrimine tra il dolo e la colpa. L’agente Spaccarotella, alla ­fine, ha ricevuto una condanna per omicidio volontario e dolo volontario. La prima sentenza parlò di omicidio colposo aggravato. Quindi c’era una differenza che spostava la responsabilità. Se non fosse stato riconosciuto il dolo eventuale in questa situazione…”.

AVVOCATO DI PROFESSIONE – “Conosco a memoria ogni atto, ogni pagina, ogni documento del processo. Il problema, dopo la sentenza di Arezzo, è stato rimettermi la toga sulle spalle. Mi pesava. Tu vedi che viene spostata l’asticella in modo scienti­fico. Dopo aver seguito tutto l’iter ti fai delle domande. Dopo l’imbarazzo della sentenza abbiamo reagito in modo stizzito, poi ci siamo impegnati per l’appello che si è celebrato a Firenze. Fu riformata la sentenza, l’imputato fu condannato per il reato commesso e la Cassazione confermò il verdetto. Arezzo, addirittura, scrisse nelle motivazioni che l’agente aveva mirato alle gomme, era l’unico modo per ‘salvarsi’. Spaccarotella questo non lo dichiarò mai. Per sollevarsi da ogni tipo di responsabilità disse che aveva sparato per aria. Ma c’erano dei testimoni, l’avevano visto mentre sparava. Un colpo lo sparò in aria, uno diretto”.

SPACCAROTELLA – “La cosa che fa riflettere è che Spaccarotella ha perseverato in questo atteggiamento. Ormai è passato qualche anno, dovrebbe aver avuto modo di pensare, di riflettere. Non ha mai maturato un pensiero né nei confronti della vita che ha spento né rispetto a ciò che ha causato a chi è rimasto in vita. Si è sempre parlato di una fantomatica lettera che avrebbe inviato e non è mai stata recapitata. Se è successo davvero questo, allora scrivine un’altra. Queste sono cose da uomini. Non devono essere richieste, ma devono essere sentite. La solidarietà di maniera non mi piace”.

LO STADIO – “Io sono tornato allo stadio con molta fatica per essere presente alle iniziative organizzate per mio fratello. Sino allo scorso anno non ero stato all’Olimpico per vedere la partita normalmente. Ci sono tornato anche grazie a mio figlio Gabriele. I ragazzini si appassionano allo stadio, non potevo permettere si sbagliasse… La madre e i nonni materni sono dell’altra ‘parrocchia”’ E così ho deciso, da laziale, di tornare con lui. Mi sono fatto forza e siamo andati. Dico grazie ai due Gabriele, agli amici miei e di mio fratello, mi hanno coccolato, mi hanno fatto riavvicinare, ed è stata una cosa emozionante. Solo chi non ha condiviso l’emozione del calcio non può capire. Adesso sto andando allo stadio quasi regolarmente, anche con mio ­figlio. Ha già visto la prima ­finale, quella di Coppa Italia, in Nord. Mi divido un po’ tra la Tribuna, quando c’è lui, e la Curva. E la sorella Greta è ancora più laziale di Gabriele, la madre pensava che diventasse romanista. La femminuccia, vedendo il fratello maggiore con la bandiera, si è legata alla Lazio“.

PASSIONE TRAMANDATA – “E’ inevitabile. Mio figlio Gabriele porta lo stesso nome dello zio. A volte mi chiedo se ho fatto bene a darglielo. Di sicuro sì, lo porta orgogliosamente. Da papà ti poni la domanda. Ha 8 anni, la storia dello zio non gliel’ho raccontata, sa che sta in cielo. Qualcosa ha capito. I bambini sono spugne, sentono quello che dicono i genitori. Gabriele a volte mi ha parlato di pistole, di spari. Chiamarlo Gabriele è stato il primo pensiero, il primo desiderio che ho avuto quando ho saputo che aspettavo un ­figlio maschio. Lo zio sarà il suo angelo custode”.

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