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Il derby di Roma, roba per pochi

Una partita che racchiude dentro di sé migliaia di significati nascosti che solo in pochi riescono a scorgere.

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Non so se i tifosi delle altre squadre potranno mai capire cosa provano quelli di Lazio e Roma. Non so se proveranno mai le sensazioni che si vivono nell’attesa di “quella partita”: l’ansia, l’orgoglio, la paura, l’euforia, la voglia di urlare, il terrore, la gioia, il dolore, il senso di appartenenza, la scemenza (sì, anche quella). Non so se riusciranno mai a comprendere che il derby, per bianco-celesti e giallo-rossi, è qualcosa di più, di irraggiungibile, di immenso, di eterno. Che esula da qualsiasi altra partita, da qualsiasi torneo o campionato. Quello del 26 maggio valeva più di una Finale di Champions League e una di Coppa del Mondo messe insieme. Valeva ROMA! Così come quello di domani e tutti gli altri in futuro.
Ma quale Natale, ma quale Pasqua, Ferragosto o Immacolata. A Roma le feste sono solo due: quella di andata e quella di ritorno. Magari l’anno migliora se la Coppa Italia porta qualche festività in più.
Prima del fatidico giorno (non il giorno della vigilia ma molto prima, credetemi! ndr), nella città eterna, ci si prepara attentamente: si ascoltano le vecchie canzoni, si riguardano i video delle partite degli anni passati – sia delle vittorie sia delle sconfitte, così ci si carica alla perfezione -, si prepara la sciarpa e/o la maglietta, si discute con gli amici, laziali o romanisti che siano. Il tutto in attesa di quella partita lì. A Roma, il giorno dell’elaborazione del calendario di Serie A la domanda è una sola: “quanno ce sta er derby?”.
Non se la prendano Milano, Torino o Genova. Roma è Roma e così la sua stracittadina.

Francesco D’Andrea

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