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Rocchi: “I laziali ancora mi chiamano ‘Capitano’. Inzaghi? Il campo sarà giudice”

NOTIZIE LAZIO – L’ex biancoceleste: “Il passaggio da Cragnotti a Lotito è stato traumatico”…

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NOTIZIE LAZIO – In una lunga intervista ai microfoni di sofoot.com, Tommaso Rocchi si racconta, soffermandosi anche sul personale capitolo Lazio. L’ex capitano parla degli esordi, dalle giovanili alla scelta recente di andare a fare un’esperienza all’estero. Infine concede qualche parola su Inzaghi, neo-allenatore dei biancocelesti. Di seguito la traduzione integrale.

Sul 200esimo gol…

“L’ho realizzato a metà febbraio contro il Sarvar nella prima partita dopo la pausa invernale. Ho segnato una doppietta: il primo gol di sinistro in contropiede, il secondo – su un pallone rinviato male – a giro sul palo opposto dal limite dell’area. È stata una bella rete, anche perché è arrivata all’ultimo secondo prima della fine. Ho concluso in questo modo la mia carriera”.

Perché l’Ungheria?

“Volevo fare un’esperienza all’estero. Avevo già giocato in massima serie con l’Haladas, ma un infortunio mi ha costretto a stare fermo tre mesi. Non ero sicuro di continuare l’estate successiva, poi ho accettato l’offerta del Tatabánya che era stato promosso in terza divisione e dove c’erano diversi italiani. Da alcuni giocatori passando per Bruno Giordano, un altro ex attaccante della Lazio, e il direttore generale (Massimiliano Caroletti, ndr). Tra l’altro la moglie era Eva Henger, vecchia star del porno. È molto simpatica e veniva ogni tanto anche allo stadio”.

Non hai più giocato dopo?

Ho assistito a Roma alla nascita del mio terzo figlio. Piuttosto che tornare negli ultimi due mesi, di comune accordo con la società, ho deciso di restare a casa. Ho 38 anni e mezzo e sono ancora in forma, ma può bastare così”.

In Ungheria hai vissuto anche la qualificazione agli Europei della Nazionale…

“In Ungheria è stato vissuto come un grande evento, ma personalmente non sono così sorpreso. Ero sicuro che avessero una chance di partecipare. Nella massima serie ho affrontato delle squadre molto valide. Parliamo di un campionato meno tecnico, ma se non sei all’altezza fisicamente vai in grande difficoltà”.

Tu sei originario di Venezia…

“La mia famiglia è al 100% veneziana. Io sono nato in questa splendida città e ci ho vissuto fino ai nove anni, prima di spostarmi a Mestre. Visto che è particolare, molti credono che i bambini pensino meno a giocare a calcio. Ma posso assicurarvi che non è così. Ci sono diverse squadre amatoriali e calciatori come Paolo Poggi e Michele Serena sono originari di Venezia. Zamparini riuscì anche a portare la squadra in Serie A, ora le cose sono più complicate. Tuttavia da quando gli affari sono passati a Joe Tacopina, il club è più tranquillo”.

La tua formazione è avvenuta tra Venezia e la Juventus

“L’esperienza nella Juventus, a 500 kilometri da casa mi ha fatto crescere molto. Ho fatto due anni nell’Under 16 e altri due nella Primavera, vincendo anche il campionato nella generazione di Loria, Grabbi e Fantini. Ho avuto anche l’occasione di arrivare in prima squadra con la maglia numero 17 nella stagione 1995-96. Ma non ho mai disputato gare ufficiali, soltanto delle amichevoli”.

Poi hai iniziato il classico percorso nelle serie minori…

“Ho fatto quattro anni in Serie C tra Pro Patria, Saronno e Como, prima di passare in B con Treviso ed Empoli. Ne sarebbe bastata la metà. Tra prestiti e comproprietà, il mio cartellino è appartenuto alla Juventus per cinque anni. Ma, nonostante i buoni numeri, sapevo che sarebbe stato difficile farvi ritorno”.

A Empoli c’erano giocatori come Tavano, Maccarone, Di Natale…

“Ad Empoli mi ha voluto personalmente Silvio Baldini. Eravamo una delle prime squadre a giocare con il 4-2-3-1 con Maccarone punta, Bresciano dietro di lui, Di Natale a sinistra e io adattato a destra. Il mister era convinto che potessi giocare in quella posizione e ha avuto ragione: ho segnato undici reti, facendo tutta la fascia. È un club fantastico per i giovani, senza alcun tipo di pressione”.

Nel 2004 sei arrivato alla Lazio nel caos…

Il club ripartiva da zero, c’è stato un cambiamento radicale. Certo da una parte c’era una grande pressione, ma dall’altra, visto che i tifosi non si attendevano grandi cose da quei nove acquisti e si chiedevano chi fossero, non avevamo molto da perdere. Ho iniziato l’avventura con questo spirito, credendo nelle mie qualità e ha funzionato. Ho segnato 17 reti la prima stagione, le persone hanno cambiato parere su di me e la società mi ha acquistato interamente”.

A Roma hai formato anche un gruppo con Di Canio e i gemelli Filippini

“Loro avevano già un gruppo, ma io suonavo la chitarra e ogni tanto ci ritrovavamo. Poi c’è stata l’iniziativa di Suor Paola per una serata di beneficienza e ci siamo detti: “Perché non provare?”. Di Canio si è subito proposto: ha suonato e cantato una decina di canzoni da Ligabue a Bob Dylan. È stato grandioso”.

Che rappresenta la fascia da capitano per i Laziali?

“La Lazio non ha mai avuto capitani per un lunghissimo tempo. Ha spesso cambiato: da Nesta a Negro, passando per Peruzzi, Liverani e Oddo. Tuttavia il capitano rappresenta sempre un punto di riferimento. Io l’ho portata per quattro anni e, quando vado a bere un caffè al bar, i laziali mi dicono ancora: “Buongiorno capitano”.

E quando incroci i romanisti?

“Mi dicono che sono uno dei pochi laziali che rispettano. Nei derby ho segnato anche cinque volte contro la Roma. Loro però hanno apprezzato il mio comportamento in campo, effettivamente non ho mai mancato loro di rispetto”.

Che ne pensi del perenne malcontento del popolo laziale?

“Il passaggio da Cragnotti a Lotito è stato traumatico, ma obbligatorio. I tifosi erano abituati a titoli e grandi campioni, però capita a tutte le squadre, anche ad Inter e Milan. Nonostante i buoni risultati ricorrenti con le qualificazioni europee, i laziali sperano in una svolta, di poter lottare nuovamente per lo Scudetto”.

Nella Capitale hai incrociato Dabo, un vero laziale

“E un ragazzo d’oro! Era un giocatore eccellente, in grado di combinare la grinta di un centrocampista difensivo con una grande visione di gioco. Abbiamo passato due anni insieme, non conservo che grandi ricordi di lui”.

Confermi le voci che ti volevano all’Ajaccio nell’estate del 2013?

“Sì attraverso Ravanelli. Anche il Deportivo era interessato. Ci sono state delle trattative, ma poi non si fece più nulla. Dopo i sei mesi all’Inter, mi aspettavo una chiamata in Serie A. All’inizio avevo trovato poco spazio poi, con gli infortuni di Milito e Cassano, ho giocato 8 partite di fila e segnato 3 reti. Stramaccioni mi aveva promesso che, in caso di riconferma, avrebbe puntato su di me. Poi lui è andato via, la proprietà è cambiata ed io sono rimasto in attesa fino ad ottobre quando ho firmato a Padova in B”.

Ti ha sorpreso la nomina di Inzaghi per la panchina?

Del tutto. Simone è sempre stato attento, uno che si informava e faceva domande. Ha un’occasione importante per dimostrare il suo valore, ma dipende tutto dai risultati. Stesso discorso per Brocchi, altro ex mio compagno. Il campo sarà il giudice, anche se non ha esperienza. È come da giocatore: puoi essere la star della Primavera, poi ritrovarti a galleggiare nelle categorie inferiori…”

E il tuo futuro?

“Intanto farò il padre a tempo pieno fino a giugno. La prossima stagione vorrei rimanere nel mondo del calcio. Sky mi ha già contattato per commentare le partite e ci sto riflettendo. Vorrei anche allenare i giovani, non ho voglia di riprendere i ritmi di vita di un giocatore professionista”.

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