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Responsabile Osservatorio su razzismo: «Società ricattabili per gli errori del passato»

IL MESSAGGERO (S. R) – Il Sociologo Valeri spiega come combattere il fenomeno: «Ci vuole un lavoro di educazione, perché non credo che la sola la repressioni funzioni»…

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lotito tare de martino

RASSEGNA STAMPA SS LAZIO – Sulle pagine odierne de ‘Il Messaggerosi parla delle polemiche sulla discriminazione territoriale atttraverso un’intervista al Sociologo VALERI, ex direttore delll’Osservatorio nazionale sulla xenofobia dal 1992 al 1996 e che dal 2005 è responsabile dell’Osservatorio su razzismo e antirazzismo nel calcio. Queste le sue parole.

Dottor Valeri, ma dagli anni ’80 a oggi è cambiato qualcosa?
«La discriminazione territoriale c’è sempre stata fino alla prima metà degli anni ’90. Poi nel calcio è entrato il razzismo perché sono arrivati molti più giocatori di colore. E il razzismo è un fenomeno punito in maniera severa, com’è giusto. Però, nelle sue direttive l’Uefa combatte in maniera importante tutte le discriminazioni che riguardano la razza, il colore della pelle e la religione. Poi, lascia a ogni paese il compito di capire quale siano le altre discriminazioni. Facendo riferimento all’articolo 3 della Costituzione, l’Italia parla anche di discriminazione riguardanti la lingua e il sesso. Il codice sportivo ha aggiunto anche la nazionalità».

Ma si parla tanto di inasprimento delle sanzioni sulla “discriminazione territoriale”…
«Prima c’era più tolleranza, ma a giugno l’Italia ha adottato la direttiva Uefa e ha modificato l’articolo 11 del codice di giustizia sportiva, inasprendo le sanzioni».

Ma come si combatte il fenomeno, al di là delle squalifiche?
«Ci vuole un lavoro di educazione, perché non credo che la sola la repressioni funzioni».

Di che tipo e da parte di chi?
«Spetta alla Figc dirlo, e credo ne sia capace. Perché per discriminazione territoriale non si intende solo il semplice sfottò, anche tutto quello che colpisce la dignità dell’individuo. Secondo me, la Figc dovrebbe definire meglio il concetto e farsi aiutare in questo da organizzazioni che da tempo studiano il razzismo e tutte le altre discriminazioni presenti nel mondo del calcio».

All’estero è diverso?
«Sì, perché le società e le Federazioni fanno opera di sensibilizzazione, distribuendo per esempio libretti con i simboli vietati, mentre da noi non succede. In Inghilterra se un tifoso si comporta male gli viene stracciata la tessera, ma questo lo fanno le società, non la federazione».

Qui in Italia, con l’inasprimento delle sanzioni, le società temono di essere ricattate dagli ultrà.
«Nel rapporto club-ultrà le società hanno fatto davvero poco, e per questo oggi sono ricattabili. In passato le società avrebbero dovuto individuare i gruppi di tifosi e spiegare loro quali comportamenti andavano bene e quali no. Però, non è stato fatto».

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